“Il bambino più fortunato del mondo” – Dylan (Per una scommessa)

Premessa: Questo prompt è collegato a “Per una scommessa”. Se avete letto il libro, sapete che la mamma di Dylan è morta quando lui era adolescente e che suo padre beh, per dirlo con parole povere, era un gran pezzo di merda. (Per maggiori informazioni potete cliccare QUI )Ho pensato, quindi, di dedicare un racconto all’unica mamma che nei miei libri non viene mai nominata perché non c’è più, e a un Dylan bambino che la adorava.

“Il bambino più fortunato del mondo”

Dylan si stava stropicciando gli occhi, ancora assonnato. Era troppo piccolo per saper legger l’orario ma dal grande orologio del suo cartone animato preferito poteva vedere le lancette sul 7 e sul 6. Chissà che ore erano…

Scese dal letto rischiando di inciampare sui suoi piedi e sbuffò. A piedi nudi, uscì dalla sua cameretta e andò al bagno. La sua mamma lo rimproverava sempre quando camminava per casa senza calzini o pantofole, e quel giorno era la sua festa… Poteva fare uno sforzo, no? Fece la pipì sbadigliando, tornò indietro e infilò le pantofole.

La casa era troppo silenziosa. Dov’erano la sua mamma e il suo papà? Non potevano essere usciti e averlo lasciato lì, giusto? Aveva cinque anni, non poteva certo stare da solo in casa!
Si avvicinò lentamente alla camera dei genitori, da dove sentiva dei bisbigli. Quelli di suo padre erano inconfondibili perché sembrava sempre arrabbiato. “Oggi è domenica, ti prego Adam, cerchiamo di far stare Dylan sereno.” Quella era la voce della sua mamma. Dylan adorava la sua mamma. A volte lo rimproverava, anche quando lui credeva di non aver fatto nulla di sbagliato, ma ogni giorno giocavano insieme con qualsiasi cosa lui volesse, che si trattasse di un pallone, camion e macchinine, o anche se voleva colorare. Perdeva anche tempo a guardare i cartoni con lui. Qualsiasi cosa. Ogni domenica gli faceva dei biscotti buonissimi o i pancake e quando cucinava per la sera lasciava sempre che lui la aiutasse. Sperava di diventare bravo come lei, un giorno.

Bussò piano alla porta e le voci si zittirono.

‹‹Dylan?›› lo chiamò sua madre e lui entrò, fermandosi sulla soglia.

‹‹Cosa ci fai in piedi a quest’ora? Non è troppo presto?›› disse suo padre, burbero come sempre.

‹‹Lo è?›› chiese lui. ‹‹Non lo so.››

‹‹Va bene così, piccolo,›› gli disse la sua mamma. ‹‹Vuoi fare colazione?›› Lui annuì e la sua mamma sorrise.

La sua mamma era bellissima come una principessa, tanto dolce e simpatica. Mentre erano ai fornelli per i biscotti con le gocce di cioccolata, canticchiavano alcune sigle di cartoni animati, ridacchiando, fino a quando Dylan chiese:

‹‹Tu e papà stavate litigando di nuovo?››

‹‹No, tesoro. Stavamo solo chiacchierando,›› rispose lei con un sorriso. Dylan annuì e la mamma gli accarezzò capelli. ‹‹Guarda,›› disse poi, ‹‹hai uno sbuffo di cioccolata sul naso.›› Lui cercò di guardarlo abbassando gli occhi, ma non ci riuscì. La mamma gli passò un dito e lo pulì per poi dargli un bacio sulla punta.

Qualche secondo dopo il campanello del forno trillò.

‹‹Biscotti!›› esclamò lui con entusiasmo.

‹‹Si, sono pronti. Forza, prendi il latte dal frigo.››

Dylan eseguì mentre la mamma metteva i biscotti in un piatto.

‹‹Li possiamo assaggiare?››

‹‹Certo, piccolo. Aspettiamo solo che si freddino. Allora, cosa ti va di fare dopo?››

‹‹Uhm… Possiamo andare al parco?›› chiese speranzoso, gli occhioni brillanti e il sorriso tenero.

‹‹Ma certo.››

‹‹Possiamo portare la palla. Mi piace giocare a basket.››

‹‹Ti piacerebbe imparare come i giocatori che guardi in tv?›› Lui annuì con entusiasmo, un enorme sorriso.

‹‹Bene. Quando sarai più grande potresti imparare.››

‹‹Credi che potrei diventare bravo come quelli lì?››

‹‹Tesoro, puoi diventare bravo in tutto se ti impegni.››

‹‹Verrà anche papà al parco?››

‹‹Credo che abbia del lavoro da fare,›› rispose la mamma. A Dylan sembrò che ci avesse prima pensato un po’.

‹‹Ma è domenica!››

‹‹Lo so, piccolo.››

‹‹Perché… Perché papà non gioca mai con me, mamma?›› le chiese ancora, triste.

‹‹Il tuo papà è un uomo molto impegnato. Ha tanto lavoro da fare.››

‹‹Anche il papà di Kevin ha sempre tanto lavoro da fare, ma va al parco con lui, la domenica,›› replicò imbronciato.
‹‹Lo so, tesoro. Ma poi tu finisci per giocare con il tuo amico, no? Non importa se viene papà.››
‹‹Non è vero! Posso giocare con lui se viene!

‹‹Dylan…››
‹‹Va bene. Ho capito. Non insisto,›› disse con le mani incrociate al petto.

La mamma si sedette sui talloni, così da diventare della sua stessa altezza, gli accarezzò una guancia e disse:

‹‹Ehi, ti ci porto io. Non vuoi venire con me?››

‹‹Sì che voglio venire con te!›› esclamò, quasi impaurito che la sua mamma pensasse il contrario. ‹‹Non ti sei dispiaciuta, vero?››

Lei ridacchiò. ‹‹No, Dy. Allora, assaggiamo questi biscotti?››

‹‹Sì!›› Dylan ne prese uno e lo infilò tutto in bocca. Fece un sorriso malandrino allo sguardo di rimprovero della mamma. ‹‹Mmm, sono buonissimi, mamma! Oh, nel latte lo sono di più! Un giorno voglio cucinare bene come te!››

‹‹Magari ci riuscirai.››

‹‹Da grande dovrai fare ben altro che metterti ai fornelli come una donnicciola!›› Il vocione di suo padre fece sussultare entrambi.

‹‹Adam!››
‹‹Oh,›› fece Dylan triste. ‹‹Cucinare mi piace.››

‹‹Ed è sbagliato. Vado in ufficio, Emma. Non disturbatemi.››

Quando il papà uscì, Dylan guardò la mamma con occhi tristi. ‹‹Perché non posso imparare a cucinare, mamma?››

‹‹Tuo padre non diceva sul serio, Dylan.››

‹‹A me sembrava molto serio,›› rispose lui con la fronte aggrottata. ‹‹Forse non vuole neanche che gioco a basket?››

La mamma si fece molto più seria. ‹‹Ascoltami bene, puoi fare ciò che vuoi, capito? Qualsiasi cosa ti renda felice, anche se tuo padre dice che non va bene. Vuoi diventare un giocatore di basket? Va benissimo. Vuoi imparare a cucinare? Va benissimo anche quello.››

‹‹Ma… non dovrei fare ciò che mi ordina il mio papà, come quando mi dice di mangiare tutte le verdure o andare a dormire?››

‹‹Diciamo solo che non tutte le cose che dice tuo padre sono giuste. Va bene? Capirai meglio da grande.››

‹‹Va bene, mamma.››

Il sole splendeva sull’erba del parco, dove tante famiglie giocavano insieme, o pedalavano sulle bici seguendo il sentiero, o, ancora, lanciavano frisbee ai propri cani. Dylan lanciò il suo pallone in aria, sorpassando un ramo quasi del tutto spoglio che, come aveva deciso, fungeva da canestro. ‹‹Sììììììììì! Altri tre punti per Brandon, campione di questa partita!›› iniziò a urlare correndo intorno al tronco dell’albero. La sua mamma lo seguiva con lo sguardo allegro, ridendo. ‹‹Fa’ attenzione a non urtare nessuno, Dylan!›› gli gridò comunque dietro. Dylan sbuffò ma annuì ugualmente. ‹‹Basta così, campione,›› lo chiamò poi. ‹‹Ti va un gelato?›› Lo sguardo di Dylan si illuminò e abbracciò forte la mamma. Prese il pallone tenendolo poi con un braccio e si mordicchiò il labbro. ‹‹Cosa c’è? Non ti va?›› Dylan annuì. ‹‹Allora perché quel faccino?››

‹‹Ho una cosa per te,›› rispose a bassa voce.

‹‹Una sorpresa?›› Dylan annuì. ‹‹L’hai fatta a scuola?›› Annuì di nuovo. ‹‹Allora dammela, piccolo! Sono curiosa di vedere cos’è.››

‹‹E se non ti piace?››

‹‹È opera tua, sono certa che mi piacerà.›› Si sedettero vicino all’albero sul telo che avevano steso quando erano arrivati più di un’ora prima, a gambe incrociate. Dylan fece lo stesso, si allungò verso il loro zaino e tirò fuori una cartolina viola.

‹‹Hai scelto tu il colore?››

Dylan annuì. ‹‹So che è il tuo colore preferito.›› La sua mamma sorrise e Dylan, contento di quello, fece lo stesso. Allungò il bigliettino e lei lo prese. Gli occhi le si inumidirono e Dylan si rattristò. ‹‹Non ti piace, mamma? Il disegno non è colorato tanto bene, lo so, ma…››

‹‹Oh, piccolo! È stupendo! Mi hai disegnata con il vestito a fiori, il mio preferito.›› Aveva disegnato lui e la sua mamma al parco che si tenevano per mano e sotto al disegno c’era scritto “sono il bambino più fortunato del mondo” scritto con l’aiuto della sua maestra. ‹‹Sono io ad essere la mamma più fortunata del mondo, piccolo mio.››

Dylan si lanciò su di lei, facendola cadere di schiena e ridere. La sua mamma lo strinse forte e iniziò a riempirlo di baci sulla guancia facendogli il solletico e ridere a crepapelle! Quando smise, Dylan alzò il viso e la guardò negli occhi. ‹‹Ti voglio bene, mamma,›› le disse prima di riabbracciarla.

FINE

Lo devo ammettere, scrivere di un Dylan bimbo, di soli cinque anni, mi ha fatto un po’ felice e un po’ male, sapendo cosa gli accadrà sia di brutto che di bello. In ogni caso, Dylan sarà sempre il mio bimbo preferito ❤

Mani, Madre E Figlio, Holding Mani, Amore, Madre

Antonella P

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